Una dedizione completa al paziente

“Cari giovani colleghi, chi ha più esperienza di voi, in altri termini chi è più vecchio di voi vuole ricordarvi che riuscirà meglio nella sua opera di medico, chi avrà la capacità di creare un rapporto profondamente umano con chi, sofferente, gli chiede aiuto. Siate attenti, giovani colleghi, e coscienziosi, ma soprattutto siate pazienti nel vostro colloquio col malato. Perché questi pretende da voi qualcosa di più di una semplice medicina che lenisca le sue sofferenze. Vuole qualcos’altro, vuole che voi siate disponibili in qualsiasi momento, a sua disposizione. Vuole che voi siate il suo medico personale, che ha quel solo malato e solo per quello agisce. Io ogni volta ho solo un malato, soltanto quel solo malato. Dunque, giovani colleghi, dedizione completa al paziente, sia esso povero o ricco, simpatico o sgradevole”.

Brano citato da Massimiliano Finazzer Flory durante l’incontro pubblico “I grandi medici del Policlinico: Cesare Bartorelli”, il 26 ottobre 2017 nella chiesa dell’Annunciata, per iniziativa del Policlinico di Milano.

L’uomo con la valigia di cartone. Un episodio illuminante

Una mattina, erano le 07:30, si ferma di fronte alla portineria del Policlinico di Milano un uomo vestito in modo dimesso, con una borsa di cartone in una mano. È appena giunto con un treno dal Sud. L’uomo chiede di essere ricoverato presso “l’ospedale Bartorelli”. Il portiere di turno gli spiega che non è possibile, che non è questa la procedura e che non c’è un ospedale così, ma l’uomo insiste. Alla fine, il portiere si arrabbia e sta per mandarlo via in malo modo, quando al cancello arriva il professor Bartorelli. Si ferma e chiede che cosa stia succedendo. Avuta risposta dal portiere, si rivolge all’uomo: “Posso aiutarla? – gli chiede, – sta cercando me?”. L’uomo si anima e risponde che, sì, sta proprio cercando il professore Bartorelli, che l’ha visto in televisione. Dice di essere venuto da un paese del Sud d’Italia e che sta molto male, soffre di una pressione altissima e nessuno riesce a curarlo. A questo punto il professore, senza neanche chiedergli come si chiama, gli posa un braccio sulla spalla e se lo porta nel suo studio. 


L’uomo ha, in effetti, una forma molto grave di ipertensione maligna, una condizione di difficile diagnosi a quei tempi. La malattia, va ricordato, faceva allora un alto numero di vittime per ictus, scompenso cardiaco, infarto del miocardio cuore, nefropatie croniche, e la Cardiologia di allora non era quella di oggi, con i mezzi tecnici e clinici di cui dispone.


Bartorelli capisce in pochi muniti di che cosa si tratti, alza il telefono, chiama il professor Malan, chirurgo del Policlinico di grande fama ed esperienza, e gli parla di quel nuovo paziente. Lo raccomanda alle sue cure come se si trattasse di un vecchio amico, del suo malato più importante. E così lo rimanda guarito al suo paese del profondo Sud con la sua valigia legata con lo spago. 


Era così il professore. Un precursore dei tempi, ma anche un grande, grandissimo medico. 

Episodio narrato da Massimiliano Finazzer Flory durante l’incontro pubblico “I grandi medici del Policlinico: Cesare Bartorelli”, il 26 ottobre 2017 nella chiesa dell’Annunciata, per iniziativa del Policlinico di Milano.

Cesare Bartorelli nel ricordo dei suoi allievi

“Una delle doti di Bartorelli, – testimoniava Alberto Zanchetti, allora Direttore Scientifico dell’Istituto Auxologico Italiano, nell’incontro dedicato a Cesare Bartorelli, il 26 ottobre 2017 nella chiesa dell’Annunciata, per iniziativa del Policlinico di Milano, (sarebbe poi venuto a mancare pochi mesi dopo), – era la sua grande capacità di comunicare, la sua simpatia, la capacità di parlare al malato e di farlo parlare, di dargli la sensazione che comprendesse le sue sofferenze e si facesse carico dei suoi problemi. È veramente un esempio eccelso di medico che non è soltanto un tecnico, sia pure un tecnico eccellente come è stato lui, ma anche e forse soprattutto un consigliere, uno a cui affidarsi”. “Cesare Bartorelli ci ha lasciato diverse grandi eredità. Una di queste è senz’altro la soluzione di un problema clinico grave, fino ad allora ancora irrisolto e che molti clinici pensavano irrisolvibile: la cura dell’ipertensione maligna”.

“Cesare Bartorelli è stato un uomo dal fluido speciale, – ricorda oggi Cesare Fiorentini, già direttore del Programma di Cardiologia del Cardiologico Monzino, – con la capacità di entrare in sintonia con chi aveva bisogno delle sue cure e dei suoi insegnamenti. E, oltre alla sua indiscussa levatura scientifico, era un vero maestro sia con gli studenti e i collaboratori sia anche con i pazienti, ai quali si dedicava pienamente”. “E si può dire che, oltre alla preziosa eredità scientifica, abbia trasmessa questa sua dote straordinaria, questa ‘impronta’, ai suoi allievi e discepoli”.

Cesare Bartorelli e i suoi docenti

In occasione dell’incontro dedicato a Cesare Bartorelli, il 26 ottobre 2017 nella chiesa dell’Annunciata, per iniziativa del Policlinico di Milano, Massimiliano Finazzer Flory, regista e attore italiano di formazione medica, – con il suggestivo accompagnamento della sonata n.3 per pianoforte di Ludwig van Beethoven, nell’esecuzione di Arturo Benedetti Michelangeli, che di Bartorelli fu amico e paziente, – riportava ciò che del professore dicevano alcuni dei suoi maestri, lungo il suo percorso di studi e di attività.

Nel 1948, per esempio, il grande fisiologo Giulio Cesare Pupilli, che lo conobbe all’università di Siena, diceva di lui che “in ogni sua ora con i suoi allievi interni dava il meglio di sé”. Sempre nello stesso anno, Walter Rudolf Hess, – che l’anno dopo avrebbe vinto il premio Nobel per la Medicina per la scoperta delle funzioni del tronco encefalico, – lo definiva “uomo di grande zelo e di una abilità tecnica fuori dal comune”. E Domenico Campanacci, prima della fine degli anni 40 quand’era docente di Patologia speciale Medica prima a Parma, testimoniava certo, “la grande preparazione legata alla fisiologia, alla fisiopatologia, ma soprattutto la serietà”. Ancora, nel 1955, Guido Melli, – che sarà cacciato dall’università di Parma nel 1938 a seguito dei famigerati provvedimenti fascisti per la difesa della razza e che poi Bartorelli ritroverà a Milano, – testimoniava della sua grande capacità di comunicazione con gli allievi più giovani, con i giovani colleghi.

Zelo, abilità tecnica, grande preparazione, serietà, capacità di comunicazione con i colleghi e soprattutto con i suoi ammalati: alcune delle straordinarie doti umane che hanno fatto di Cesare Bartorelli un uomo e un medico insostituibile. “Guarire talvolta, curare spesso, consolare sempre”.